Rubrica settimanale di Politica Nazionale a cura di Micaela Taroni

Con l’inizio dell’era Meloni tante cose sono destinate a cambiare. Anche i ministeri non sono più quelli di una volta. Il consiglio dei ministri ha approvato ieri un decreto con novità sulle denominazioni dei dicasteri che sintetizzano le priorità nell’azione del governo.

Un nome, un programma: siccome è difficile modificare la realtà dei ministeri, per il momento se ne cambiano i nomi.

Così il tradizionale ministero dei trasporti si chiamerà ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile mettendo in chiaro che il ministro Salvini potrà occuparsi di un’infinita gamma di questioni, spaziando dal mirabolante ponte sullo stretto alle autostrade pericolanti per arrivare alle bici elettriche e ai monopattini.

Il ministero dello sviluppo economico diventa delle imprese e del made in Italy, cambiando la sigla da Mise a Mimit. Tutto ciò, mentre il ministero per la transizione ecologica (Mite), fiore all’occhiello del governo Draghi, si è misteriosamente eclissato, sostituito da un più realistico dicastero per l’ambiente e la sicurezza energetica.

foto: Corriere.it

Qui non si tratta solo di ritocchi alle etichette. Creare un nuovo ministero o cambiare il nome a uno già esistente ha un valore simbolico ma soprattutto programmatico: vale come dichiarazione di intenti.

Così il ministero dell’istruzione diventa anche del “merito” facendo capire a tutti che la pacchia del sei politico caro alla sinistra è tramontata per sempre. Il ministero della famiglia da uno diventa trino, responsabile anche per natalità e pari opportunità in rigoroso ordine.

I critici a sinistra lamentano che un ministero della natalità fa tanto ventennio, ma tant’è – il problema dell’inverno demografico è una questione nazionale e tanto vale non star tanto a badare alle sottigliezze quando si tratta di rialzare la curva delle nascite, ormai a un minimo storico.

Dare il nome a un nuovo ministero, come quello per le politiche del mare e del sud può creare dei malumori in un paese variegato come il nostro.

A reclamare sono le regioni di montagna che senza un dicastero dedicato si sentono neglette.

I nomi dei ministeri si allargano ma la coperta dei finanziamenti pubblici si restringe.

Con il suo proverbiale aplomb il ministro dell’economia Giorgetti annuncia che nonostante il restyling delle definizioni tutti i ministeri sono rigorosamente chiamati ad una nuova tornata di “spending review”, fine anglicismo che sta ad indicare brutali tagli.

Già… i “tagli”… nuovo governo o no, sono quelli che l’Italia e gli italiani ben conoscono ormai da decenni.

Micaela Taroni

Micaela Taroni (Stampa Estera)

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