Appuntamento settimanale con Ivana Puleo, per tutti gli amanti del MARE

Non è inusuale oggi acquistare un prodotto, che sia un CD, un libro (ah… voi non li acquistate più…?!) o una confezione di farina e trovare sul retro della stessa una scritta del tipo: “crediamo in uno sviluppo
sostenibile, per questo i nostri prodotti vengono realizzati utilizzando energia proveniente esclusivamente
da fonti rinnovabili e ci impegniamo ogni giorno a migliorare il nostro impatto ambientale.”

Beh, non so voi, ma a me questa cosa piace un sacco. Piace vedere che c’è chi opera, si adopera concretamente, che “razzola bene” e non “predica” soltanto.

Piace che sempre più persone credano convintamente che fare Impresa sia un concetto imprescindibile con quello della tutela dell’ambiente, del nostro habitat, del nostro pianeta. سباق احصنة

Eppure, per i pochi virtuosi che in modo esemplare cercano di farsi strada in questo mondo di prevalenti
distratti, resiste ancora il concetto che “si è sempre fatto così” oppure, peggio ancora che “Il problema non è mio”.

Lo vediamo soprattutto in settori come l’agricoltura e l’industria ittica.

Non sempre il titolare dell’azienda è adeguatamente formato o supportato sufficientemente quando si
parla di riciclo, recupero e corretto smaltimento dei rifiuti di produzione, partendo ovviamente, dal
presupposto che sia già abituato a rispettare le regole.

La normativa sulla tutela ambientale può sembrare articolata e a volte complessa nell’attuazione dei
molteplici adempimenti.

Il testo unico in materia ambientale, meglio noto come Codice ambientale (TUA), è il provvedimento
nazionale di riferimento in materia di tutela ambientale, emanato con il D.Lgs. 3 aprile 2006 n.152.

Questo complesso di norme si occupa di definire la valutazione di impatto ambientale, la difesa del suolo e la tutela delle acque, la gestione dei rifiuti, la riduzione dell’inquinamento atmosferico e il risarcimento dei danni ambientali.

Che l’ambiente sia importate e che la sua tutela sia urgente, lo si comprende anche dal fatto che IL TEMA
DELLA TUTELA DELL’AMBIENTE è entrato nella nostra COSITUZIONE mondificandone due articoli: l’At. 9 e
l’Ar. 41.

Eppure… “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”..e spesso, proprio nel mare vengono seppelliti rifiuti e
scarti industriali illudendosi che nel mare possano scomparire sia dai nostri occhi che dai nostri registri di
carico e scarico.

Le Reste ad esempio… Il settore della pesca richiede fin dai tempi dei tempi, una copiosa e diversificata attrezzatura.

Una grande quantità di attrezzi da pesca viene sistematicamente abbandonata (o persa? العاب ماكينات ) nel mare: da uno studio pubblicato sulla rivista Fish and Fisheries, emerge che circa il 7% di tutte le reti da pesca, il 9% di tutte le trappole e il 29% di tutte le lenze viene perso in mare oppure gettato via intenzionalmente ogni
anno.

Considerando che sono 40,3 milioni le persone che lavorano nel settore della pesca in tutto il mondo,
può essere fatta una stima approssimativa ma comunque indicativa degli oggetti che finiscono in mare: una stima che risulta abbastanza allarmante.

Periodicamente vengono intraprese campagne straordinarie per la rimozione delle ahimè fin troppo note
“reti fantasma”: un danno enorme per le comunità di pescatori, che vedono ridursi fino al 30% lo stock di
pesce pescabile, e una spietata minaccia all’ecosistema marino, senza contare che sono anche tra le cause
più diffuse degli incidenti marittimi.

Meno note ma altrettanto inquinanti e nocive sono le “reste”: calze tubolari in polipropilene contenente
mitili: i molluschi.

Il ciclo di produzione completo prevede un cambio di reti, di reste, che si diversificano progressivamente
adattandosi alla crescita dei molluschi. E..che fine fanno le vecchie reste?

Se avete la fortuna di poter passeggiare lungo le spiagge del versante Adriatico del nostro bel mare, potrete ahimè trovarne molte “spiaggiate” .. ربح المال من الالعاب اون لاين e non sono davvero un bel vedere.

La Guardia Costiera Guardia Costiera, dopo il lungo lavoro di indagini della Procura della Repubblica di
Foggia, per l’operazione Gargano Nostrum che, ha portato a diversi arresti e al sequestro di intere aree
demaniali marittime e impianti di mitilicoltura per disastro ambientale e combustione illecita di rifiuti.

Secondo gli investigatori le cooperative che gestivano gli impianti avrebbero smaltito illecitamente un
ingente quantitativo di rifiuti prodotti nelle aree in concessione.

Parliamo di quasi 30 tonnellate di reste dismesse e non meno di 4 mila tonnellate di cozze abbandonate in mare, i gusci di mitili morti. Illeciti che hanno interessato un’area lunga 60 km nel nord del Gargano, da
Chieuti a Capojale.

Quindi, per concludere, la prossima volta che acquistiamo delle cozze, chiediamoci se sono non solo buone, ma anche “pulite e giuste”.

A mio avviso, tutta la filiera dovrebbe essere certificata dall’inizio, dalla posa della prima resta, fino al piatto sulla tavola, specificando che durante tutto il ciclo ci “si impegna ogni giorno a migliorare il nostro impatto ambientale”.

Ivana Puleo

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