Le aspettative sulle donne sono spesso disumane: una donna dovrebbe essere una madre accudente, una lavoratrice efficiente, una moglie amorevole, una saggia amica e in perfetta forma fisica.
Nel passato il ruolo della donna era depotenziato nella sfera lavorativa e centrale nell’organizzazione domestica.
La famiglia si strutturava su ruoli maggiormente definiti, apparentemente più complementari.
Oggi le famiglie vivono ad una velocità inafferrabile, di pari passo con le continue trasformazioni sociali.
È una società digitale in cui si sono stravolti gli schemi educativi e relazionali.
L’obiettivo non è fare un confronto tra il prima e il dopo, decretando l’assetto migliore ma riconoscere la necessità di recuperare un’attenzione alla persona che rischia di perdersi nei ruoli e nei modelli.
La maternità non è un’isola felice ma è un territorio incerto in cui non esistono guide ma scoperte creative, passi incerti, paure, gioie, umori contrastanti.
È il regno dell’ambivalenza, spesso taciuta perché ritenuta un attacco all’amore per i propri figli ma non è così.
È un’ambivalenza umana, fisiologica e sana che vede protagonisti il bisogno di esistere per l’altro e il desiderio di vivere per sé.
Si tratta di fare spazio senza annullarsi.
È un’esperienza rivoluzionaria emotivamente, straordinaria e difficilmente descrivibile.
Si crea un fraintendimento confondente e pericoloso. Molte donne pensano e sentono erroneamente che amare i figli significa vivere per loro.
Prendersi cura delle donne madri nella società significa riequilibrare un sistema complesso fondato sulla co-responsabilità, che vede protagonisti una moltitudine di attori, tra cui i padri; il lavoro; le agenzie educative; la cornice politica e i mass media.
Una mamma è una Persona, con bisogni soggettivi, relazionali e sociali.
Potersi appropriare del diritto di amarsi e prendersi cura di Sé è un dono prezioso anche per i propri figli.
A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini