Rubrica settimanale di Politica Nazionale a cura di Micaela Taroni

Portato a casa l’apprezzabile risultato di ricollocare il capo Matteo Salvini in un ministero di peso, la Lega si spacca sulle sue origini. Il patto d’acciaio con i Fratelli d’Italia è costato parecchio in termini elettorali e con una Lega all’8 per cento, ecco rispuntare i nolstalgici di Alberto da Giussano e dell’ampolla con le acque del Po.

Insomma, tornano a palesarsi i duri e puri del Carroccio, quelli che non ne possono più del pragmatismo di Salvini e anelano al ritorno alle radici vere, quelle dell’autonomismo spinto, per intenderci.

E così il fronte dell’orgoglio lumbard si arrocca intorno al fondatore, un acciaccato Umberto Bossi che, pur sulla sedia a rotelle, rimane un portabandiera di storiche battaglie, quando la Lega era ancora partito di maggioranza al di sopra della linea gotica.

foto Daniel Da Zennaro

Nasce così il “comitato del nord”, un gruppuscolo di ribelli, desiderosi di favorire il ritorno ai sacri valori federalisti.

Fondato dall’europarlamentare Angelo Ciocca e dall’ex segretario lombardo Paolo Grimoldi con la benedizione di Bossi, il “comitato del nord” si è appropriato di dati sensibili di militanti e iscritti al partito. Una preziosa banca dati cui Grimoldi e Ciocca avrebbero ampiamente attinto per promuovere le attività del comitato. Risultato: Salvini infuriato e piatti che volano nella storica sede milanese di via Bellerio.

Sì perchè Salvini ha subito reagito con una diffida ai ribelli, mettendoli in guardia da violazioni nell’uso dei simboli e del nome del partito e sul trattamento dei dati personali, appellandosi alla tutela della sacra privacy dei militanti. Il rischio per i frondisti è ora di incorrere in multe milionarie.

Al “comitato del nord” non fa capo alcun politico di rilievo e sebbene i ribelli  possano contare sul sostegno di Bossi è ovvio che il loro ascendente sia del tutto insufficiente per scalzare capitan Salvini.

Angelo Ciocca

La rivolta interna rischia però di creare più di un grattacapo al leader che come ministro e vicepremier avrà in futuro molto meno tempo di occuparsi delle beghe di partito. Il segretario potrebbe quindi finire sulla graticola in vista del prossimo congresso.

Che rischia di diventare un processo alla sua guida di partito, non esattamente brillante considerando il risultato elettorale. Il gelido vento lombardo minaccia quindi di arrivare a Roma ancor prima che Salvini si sia stabilmente insediato nel suo sospirato ministero.

Al grido di “Prima il nord” i frondisti rischiano di disturbare parecchio i sonni del Salvini di governo e non più di lotta.

Micaela Taroni

Micaela Taroni (Stampa Estera)

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