“Prima il nord”, slogan scomodo per il Salvini di governo e non di lotta
Portato a casa l’apprezzabile risultato di ricollocare il capo Matteo Salvini in un ministero di peso, la Lega si spacca sulle sue origini. Il patto d’acciaio con i Fratelli d’Italia è costato parecchio in termini elettorali e con una Lega all’8 per cento, ecco rispuntare i nolstalgici di Alberto da Giussano e dell’ampolla con le acque del Po.
Insomma, tornano a palesarsi i duri e puri del Carroccio, quelli che non ne possono più del pragmatismo di Salvini e anelano al ritorno alle radici vere, quelle dell’autonomismo spinto, per intenderci.
E così il fronte dell’orgoglio lumbard si arrocca intorno al fondatore, un acciaccato Umberto Bossi che, pur sulla sedia a rotelle, rimane un portabandiera di storiche battaglie, quando la Lega era ancora partito di maggioranza al di sopra della linea gotica.
La rivolta interna rischia però di creare più di un grattacapo al leader che come ministro e vicepremier avrà in futuro molto meno tempo di occuparsi delle beghe di partito. Il segretario potrebbe quindi finire sulla graticola in vista del prossimo congresso.
Che rischia di diventare un processo alla sua guida di partito, non esattamente brillante considerando il risultato elettorale. Il gelido vento lombardo minaccia quindi di arrivare a Roma ancor prima che Salvini si sia stabilmente insediato nel suo sospirato ministero.
Al grido di “Prima il nord” i frondisti rischiano di disturbare parecchio i sonni del Salvini di governo e non più di lotta.
Micaela Taroni