Intervista esclusiva rilasciata da parte di Fuoco, il rugbista che sventò una rapina. Carriera esemplare passata anche dalla Centumcellae.
Avevamo parlato di lui i primi di settembre e non siamo stati l’unica testata a farlo, visto il gesto coraggioso che ha eseguito. Paolo Fuoco è un rugbista professionista, conosciuto a Civitavecchia per aver militato tra le fila della Centumcellae.

La sua carriera ha toccato nel tempo picchi altissimi, visto che ha giocato e gioca tutt’ora a livello professionistico e che ha anche un trascorso in Australia.
Ha iniziato nella sua regione d’origine, la Campania, nel 2012, e nel tempo è riuscito a farsi spazio fra le categorie sempre più superiori, arrivando perfino a vestire la maglia delle giovanili della nazionale italiana e quella della nazionale maggiore bulgara.
Le squadre in cui ha militato sino ad ora sono in linea temporale: Salerno (città in cui vive la famiglia), Benevento, Colorno, Civitavecchia, Highlanders, Parma ed Eastwood (per l’appunto in Australia).
Oggi ci racconta un po’ di come ha affrontato la rapina che ha sventato, ma approfondiremo anche la sua carriera e ciò che può lasciare per le generazioni che verranno.

Paolo Fuoco, talento e coraggio a non finire
Dopo l’esperienza al Salerno, ha avuto la fortuna di fare le selezioni regionali in Campania. Benevento gli ha dato la possibilità di emergere e crescere a livello professionistico.
A Colorno, Parma, ha avuto due allenatori importanti, come Flavio Tripodi e Samuele Pace, i quali lo hanno spronato a emergere a livello professionistico.
Dal 2018 al 2020, gli hanno dato la possibilità di esprimersi al meglio. Anche di comprendere il mondo professionistico perché sapevano “che avevo potenziale.
Sono arrivato da giovane e sono andato via che ero uomo” ha affermato durante l’intervista. “Mi hanno preparato alla vita sportiva a 360 gradi per il dopo Colorno”, ha poi aggiunto.

Paolo Fuoco ha perso il padre nel 2020 e ha affrontato diverse emozioni forti e profonde in quel periodo.
“Fortunatamente ero diventato già uomo” dice. “Umberto De Nisi l’allenatore (diventato head coach) e il direttore sportivo Memmo Nastasi della Centumcellae sono stati al mio fianco in un periodo molto difficile nell’ottobre 2020.
Mi accolsero come un figlio proprio un mese dopo che era morto mio padre. Civitavecchia rimarrà nel mio cuore avrei voluto lasciare qualcosa di più grande ma la pandemia non me l’ha consentito.
Un ritorno, quindi, non è escluso specie perché potrò avvicinarmi alla famiglia e Civitavecchia potrebbe essere la prima tappa. Credo nella città, nei valori umani e sportivi che si vivono lì, trasmessi da chi ci abita.
Non ho avuto modo di vedere un lato negativo di Civitavecchia, mentre Parma è un po’ più caotica ma mi ha cresciuto sotto tutti i punti di vista (anche morali).
Financo la realtà della squadra, che è in Serie A, mi ha spinto ad avvicinarmi a essa quando ne sono venuto a conoscenza.
Mi dispiacque lasciare nel post pandemia, visto che molti club si sono trovati in difficoltà e, quindi, specie i giocatori di fuori Civitavecchia non hanno avuto la possibilità di rimanere in quel contesto, in quella dimensione importante in cui era arrivata. Quindi non chiuderò mai la porta a Civitavecchia.
Oggi la squadra sta facendo passi da gigante, li continuo a seguire, con Umberto Denisi, ottimo allenatore, e tutta la realtà in generale. Quell’umiltà non l’ho trovata da altre parti”.

Come e perché hai preferito il rugby ad altri sport, specie evitando la tentazione al calcio popolar nazionale?
“Oltre ai miei genitori, specie mio padre, tutta la mia famiglia vedendomi robusto (mi hanno chiamato il Marcantonio durante le interviste) mi hanno indirizzato al rugby.
Giocavo a calcio, ma prendevo istintivamente la palla con le mani quando ero bambino (10 anni circa) poi a 12 anni ebbi la prima possibilità, grazie alle amicizie di mio padre ma anche grazie a mia madre, e la presi al volo. Amicizie, che si contano sulla punta delle dita, e buone persone alle spalle, come anche i famigliari, sono importanti perché a fare da solo si rischia di perdersi”.

A livello tecnico tattico, cosa manca alla Centumcellae di Civitavecchia per diventare grande?
“Io non smetto mai di migliorare e credo nei piccoli dettagli perché fanno la differenza e sapevo che loro si rispecchiavano in me e con questi valori. La Centumcellae è un club in continua crescita e a livello dirigenziale sanno come acquistare e devono continuare seguendo queste linee, senza cambiare troppo a livello tecnico. Step by step, così facendo, continueranno a vincere fuori e dentro il campo”.
Cosa pensi sia stato importante per diventare professionista ed esser chiamato dalla nazionale giovanile italiana, da quella bulgara e dall’Australia?
“Ero stato chiamato dalla nazionale giovanile quando ero in Italia e con la prima squadra della Bugaria, perché ho origini bulgare. Io ho doppio passaporto e per dare qualcosa a un Paese in cui sono nato, avvicinarmi a quel mondo, alle mie origini e per conoscere di più la cultura bulgara ho deciso di preferirla all’Italia.
Ora sto nella nazionale bulgara ma, da regolamento, potrei ritornare anche in quella italiana.
In prestito al rugby Parma sono diventato chi sono oggi, ma tutte le squadre passate mi hanno aiutato.
Ciò che mi ha dato possibilità di crescere di livello è stato avere continuità, sia con gli allenamenti che con la dieta e la routine odierna, ma anche grazie a persone al mio fianco che mi hanno trasmesso buone sensazioni.
La mia dieta è seguita da professionisti e basata su almeno un litro e mezzo d’acqua al giorno, sull’idratazione, sul mangiare cose giuste, come quelle che mangiavano ai tempi di Pompei e Roma, quindi legumi, riso e un buon uso di carne e pesce.
Mangiare le cose della nonna a oggi aiutano tanto, la chiamo la dieta dei gladiatori”.

Cosa può il rugby italiano prendere di buono da quello australiano? Dove possiamo migliorare?
“Penso il rugby italiano debba migliorare, visto che in alcuni contesti manca una competizione sana, frutto del poco professionismo che c’è in Italia e perché prevale il calcio nazionale.
Manca una preparazione nell’etica di competizione, perché può essere poco sana. Pensavo solo nel calcio fosse così, invece anche nel rugby lo è.
In alcuni momenti diventa un’etica non pulita ma una con energie negative e ciò non porta a sviluppare in contesto professionistico”.
Miglior rugbista con cui hai giocato in Italia e con cui ti sei rivaleggiato? E in Australia?
“Preferisco semplicemente non fare nomi perché non so mai come può reagire dall’altra parte la persona citata. Vorrei elogiare per la quantità di giocatori di qualità il sistema rugbistico australiano.
In Italia stiamo crescendo sotto questo punto di vista, tutte le squadre stanno migliorando giorno dopo giorno.
Nel sud il bacino del rugby non è tanto ampio ma sta evolvendo come in tutto il Paese, anche per questo mi ero allontanato dal contesto campano, fino ad arrivare a Parma, dove mi ero ritrovato senza nessuna persona che conoscessi, ma quando ne ho conosciute sono stato bene.
Stessa cosa in Australia, dove c’è una vita più robotica e si pensa poco alle relazioni umane se non nel weekend, mentre durante la settimana si pensa solo al lavoro.
Fortunatamente, mi sono abituato nel tempo a cambiare squadra e trovarmi spesso da solo”.

Due parole su Capuozzo della nazionale italiana?
“Credo stia facendo molto bene, ci conosciamo fra rugbisti. Capuozzo lo mettiamo fra i bravi e può conquistare un ruolo ancor più di spicco nel contesto europeo.
Il mio più grande idolo sono io e non guardo nessun altro oltre che me, per una questione mia e per diventare il migliore.
Ho guardato partite per migliorare su alcune cose e di base posso pensare è un bravo giocatore, ma sono più concentrato su di me.
Sembra una mentalità egoistica, come Ronaldo nel calcio, ma c’è molta competizione e mi sembra la più idonea”.

Rapina sventata, qual’è stata la motivazione che ti ha spinto ad agire? Consiglieresti ad altri di farlo, vista l’altissima pericolosità del gesto?
“I rapinatori erano due e potevano esserci possibili persone che agivano con loro ma erano nascoste, quindi il pericolo è stato alto ma ho da sempre combattuto la nuova generazione, la quale da’ per importanti cose che non lo sono per me.
L’indifferenza l’ho sempre combattuta, specie se è senza principi o valori, visto che difronte ad atti criminali del genere in molti si mettono a filmare e non agiscono.
Chi è una brava persona è portata ad agire e a proteggere la ragazza rapinata nel negozio sportivo come ho fatto io. Lei li invitava a fermarsi, ma loro non si fermavano.
l’hanno toccata ma quasi e io istintivamente ho agito. Volevo dare l’esempio in quel momento perché c’erano persone che potevano agire e non l’hanno fatto.
In quel contesto, lateralmente, c’erano molti giovani e adulti che si sono girati da un’altra parte ed erano davanti ai miei occhi. Mi sono ritrovato questi due a correre e stavo dietro, non mi avevano visto. La guardia di sicurezza non era sul posto quindi ho sentito di dover fare io qualcosa.
Ho acceso il monopattino, ho accelerato e chiesi alle persone dove erano andati i ladri. Una volta che me l’hanno detto, ho iniziato un lungo inseguimento, dal Barilla Center fino al centro per poi arrivare quasi alla stazione.
Loro erano veloci e sembravano allenati, il monopattino mi ha anche abbandonato, si è fermato perché si era scaricato, quindi ho iniziato a correre verso di loro davanti a famiglie e gente, come fosse un film d’azione. Avevano la refurtiva in mano ed erano impauriti perché mi vedevano bello grande.
Si sono agitati e mentre correvo si sono girati e mi hanno lanciato la refurtiva. Volevano andarsene ma l’avevo presa sul personale perché mi hanno fatto correre quando non dovevo.
Non si fermavano e pensavano fossi stanco ma il rugby mi ha allenato a dare tutto, specie all’ultimo. Li stavo tallonando e non pensavano ci fosse qualcuno che li avrebbe inseguiti.
volta arrivato vicino a loro sono riuscito a placcare entrambi. Nel mentre, ero a telefono coi carabinieri e una volta placcati loro si sono arresi, sicuramente pensavano fossi un agente.
Dal placcaggio all’arrivo dei carabinieri è passato pochissimo. I ladri erano ladri seriali e pericolosi, con un contorno poco piacevole.
Dopo sono venuto a sapere che potevano avere qualcosa in tasca di pericoloso. Una volta placcati, però, non hanno avuto l’idea di reagire, forse perché erano impauriti e non arrabbiati verso di me”.
Le forze dell’ordine cosa ti hanno detto? Di rifarlo in futuro o di evitare?
“Erano stati contenti e orgogliosi, ma quando stavo in macchina volevano offrirmi di tutto. Sono stato accompagnato con la macchina dei carabinieri in caserma e lì mi hanno elogiato per ciò che ho fatto.
Quando sono stato accompagnato in commissariato, ero felice per i tanti elogi e nell’elogio sono risaliti al fatto che sono un rugbista.
Poi mi hanno detto va bene perché sei tu, allenato e con questo portamento, ma mi hanno detto che ho fatto qualcosa di unico che a Parma o in Italia non succedono queste cose.
Sono più le volte che le persone fanno le indifferenti, hanno apprezzato ciò che ho fatto ma mi hanno consigliato di evitare di fare queste cose in futuro, visto che sono molto pericolose.
Mi hanno detto: sicuramente ti ritroverai in queste situazioni ma ti consigliamo di starne fuori perché non si è preparati per tali situazioni. Pure se fosse andata male, però, lo avrei rifatto altre 200 volte perché c’è troppa indifferenza e poca empatia.
Vedo solo maranza, baby gang e persone senza educazione, io ho avuto la fortuna di crescere in un mondo pulito e con valori ed educazione che non sono affatto scontati.
Credo in una vita esterna alla nostra e penso qualcuno dall’alto mi stia sostenendo, sia per com’è andata bene a me, sia per la vita personale che quella professionale”.

Un appello ai giovani, perché dovrebbero preferire il rugby ad altri sport?
“Penso sia uno sport che in un giusto contesto dia la possibilità di diventare guerrieri di vita.
Prima non ero una testa tranquillissima e la guerra in testa cell’ho ancora ma, da una parte, il rugby mi ha aiutato a dosare le energie e stare insieme ai compagni di squadra, dove dovevo essere la migliore versione di me stesso.
Non prendiamo tanti soldi come i calciatori, ma anche nel rugby dove sono ci sono più soldi che girano è più difficile essere se stessi.
Consiglio ai giovani di iniziare a giocare perché è uno sport con principi che altri sport non danno.
Il terzo tempo è importantissimo, giacché il valore umano e sportivo di questo sport emerge anche dopo che ce ne siamo date sul campo.
Consiglio a tutti i giovani di avere sempre piani B, C e D, anche se sto nel rugby non mi escluderò mai niente.
Se uno si fa male o litiga col procuratore ci si trova senza squadra e tutto va all’aria.
Quindi altri piani sono fondamentali per dare la possibilità di puntare sul rugby, ma anche su altri settori se non vanno le cose”.

Hai qualche cosa che ti tieni dentro e che vorresti dire?
“Probabilmente, tornerò in Australia ma lascio le porte aperte anche per l’Europa e, perché no anche tornare in Italia.
A Civitavecchia voglio salutare delle persone: Andrea Gargiullo, si occupa di tutto al Centumcellae , un saluto a tutto lo staff, compresi le colonne portanti Claudia Olivieri e Alessandra Padelli.
Sono stati tutti bravissimi al mio fianco in un momento difficile. Voglio lasciarti un’esclusiva, il mio record sui 100 metri piani è da aggiornare, visto che ora è di 10,50 secondi pari pari, mentre il record precedente era di 10,96.
Un ringraziamento speciale anche a voi di Talk City, che mi avete trasmesso dal primo articolo buone vibrazioni a livello di etica professionale.
Voglio chiudere dicendo grazie mamma e papa, ma anche a tutte le persone che mi hanno sempre sostenuto e voluto bene come mio fratello e la mia sorellina piccola, ma senza dimenticare un saluto speciale al mio procuratore”.
Michelangelo Loriga
