Tuttavia, a giudicare dal tono delle discussioni al World Economic Forum di Davos, nessuno è stato
pronto a festeggiare.
Anche se le grandi economie guidate dagli Stati Uniti si stanno dirigendo verso un “atterraggio
morbido” sulla scia dei brutali aumenti dei tassi di interesse, questo dato viene offuscato dalla
crescente ansia per la miriade di rischi geopolitici che si profilano nel 2024 e che gettano
incertezza sulla formulazione delle politiche.
Le guerre infuriano in Europa e nel Medio Oriente: quest’ultimo conflitto porta alla diversione di
dei traffici marittimi intorno all’Africa meridionale, aumentando i costi aziendali e potenzialmente
l’inflazione.
Allo stesso tempo, otto dei dieci paesi più popolosi del mondo terranno le elezioni quest’anno,
preannunciando un periodo di acuta volatilità politica.
Le più importanti di queste sono senza dubbio le elezioni presidenziali americane di novembre.
La possibile vittoria di Donald Trump nelle primarie ha riacceso le preoccupazioni che la Casa Bianca
possa essere riconquistata da un Presidente con scarsa considerazione per le tradizionali alleanze
statunitensi, o per un sistema internazionale basato su regole già troppo in discussione.
L’ansia non sorprende, seppure l’economia globale abbia resistito allo shock inflazionistico molto meglio
di quanto molti si aspettassero: la questione è che l’umore diffuso tra i delegati a Davos si è concentrato
sull’impatto che una moltitudine di rischi geopolitici potrebbero avere sulla politica economica: la
presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha usato un tono pessimista, affermando
che il mondo è entrato in un’era di “conflitto e confronto, di frammentazione e paura”.
Ha aggiunto: “Non c’è dubbio che affrontiamo il rischio maggiore per l’ordine globale nel dopoguerra”.
Gli attacchi alle spedizioni nel Mar Rosso, perpetrati dai militanti Houthi, membri della setta Zaydi
dell’Islam sciita, in risposta alla guerra di Israele a Gaza, minacciano di creare un periodo “caotico” per
i produttori e i rivenditori europei, poiché le catene di approvvigionamento vengono interrotte, hanno
avvertito gli esperti di logistica.
Gli Houti erano i meno allineati ideologicamente all’Iran rispetto ad altri gruppi militanti regionali:
tuttavia, la crisi di Gaza li ha attirati al cosiddetto “asse di resistenza” a Israele sostenuto dall’Iran.
Non a caso, Stati Uniti e Stati del Golfo accusano Teheran di fornire agli Houthi tecnologia missilistica
e droni, nonché addestramento.
Quasi tutte le navi portacontainer sono state dirottate dal Canale di Suez verso la rotta più lunga attorno al Capo di Buona Speranza (che richiede alle navi dai 7 ai 20 giorni in più (16.000 nm contro 9.000 nm circa).
L’ultimo indicatore mensile del commercio pubblicato dal Kiel Institute for the World Economy, riferisce che dopo l’inizio degli attacchi Houthi, i flussi di container attraverso il Mar Rosso sono stati meno
della metà del livello abituale di dicembre e sono scesi al di sotto del 70% del valore medio all’inizio di gennaio.
Attraverso quell’arteria passa quasi il 20% delle merci trasportate su mare nel mondo e il 30% delle navi porta container. In particolare, l’8% di grano, il 12% del petrolio e l’8% del gas naturale liquido trasportato via mare.
A causa del viaggio più lungo, si registra un aumento complessivo dei noli del 40% ed un forte aumento delle polizze assicurative Lo Shanghai Containerized Freight Index – una misura dei costi di spostamento
di un singolo container da 40 piedi su una serie di rotte a lungo raggio – ha raggiunto il 5 gennaio il suo tasso più alto al di fuori dei disagi causati dalla pandemia di Covid: il costo di trasporto di un container da
Shanghai a Rotterdam è passato dai 1.667 $ del 23 dicembre ai 3.577 $ del 5 gennaio.
Anche il costo per spostare un container da Shanghai a Genova è raddoppiato: da 1.956 $ a 4.178 $.
Per l’Italia il passaggio attraverso Suez vale 154 mld € ogni anno: 43 mld di esportazioni, 111 mld di
importazioni.
Ma c’è anche un altro elemento da considerare: la scarsità di navi. Il tempo di 102 giorni necessario per completare un giro tra l’Asia e il Nord Europa e ritorno attraverso il Capo di Buona Speranza, significa che una linea deve impiegare 16 navi per un servizio settimanale, invece delle normali 12.
Alcune navi, tuttavia, stanno ancora attraversando il Canale di Suez. Pechino è rimasta neutrale rispetto agli attacchi Houthi, ma i prezzi dei noli hanno colpito anche le aziende cinesi.
Essendo l’Europa uno dei principali partner commerciali, la rotta è importante per la Cina, che ha invitato
“tutte le parti interessate” a “garantire la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso”.
Alcune economie stanno già avvertendo pesantemente gli effetti della crisi. L’Egitto è probabilmente uno di queste, data la sua dipendenza dalla navigazione attraverso il Canale di Suez, che ha raccolto più di 9 mld $ in tasse di transito nell’ultimo anno fiscale.
Gli economisti si aspettavano che l’impatto sui prezzi dei beni sarebbe stato relativamente contenuto.
Ma ora crescono le preoccupazioni per gli effetti a catena, più significativi per le materie prime, compreso il petrolio, nel caso in cui le forze statunitensi venissero risucchiate ulteriormente in una crisi regionale che infuria dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre.
Ana Boata, responsabile della ricerca macroeconomica presso Allianz Trade, ha affermato che la situazione non è ancora un “segnale di allarme” per l’economia globale, ma ha aggiunto che “l’impatto sulle catene di approvvigionamento globali potrebbe diventare più grave” se la crisi si protrarrà oltre la prima metà dell’anno.
Tuttavia, si inizia a registrare un possibile trend positivo: il costo dei noli ora sta calando, grazie alle misure organizzative adottate dagli armatori ed alla portualità che, anche per una serie di interventi del Governo, sta aumentando la capacità di risposta in termini di velocità e risparmio complessivo.
“L’emergenza sta diventando il quotidiano, ma le risposte sembrano immediate e se la durata della crisi sarà contenuta le conseguenze non saranno particolarmente gravi”, lo ha detto Rodolfo Giampieri, presidente di Assoporti, intervenuto al format di The Watcher Post, aggiungendo: “…è compito del sistema fare in modo che il peso di questa situazione non ricada sul consumatore.
Un’auspicabile rapida soluzione al conflitto è di grande importanza per evitare forti impatti sul comparto”.
Crisi del Mar Rosso: minacce ed opportunità.
Impatto sulle materie prime: oltre al petrolio e al gas, la regione è importante per il trasporto di altre materie prime come metalli e prodotti agricoli.
Interruzioni possono causare volatilità nei prezzi di queste risorse a livello globale. I prezzi del gas e del petrolio finora non ne hanno risentito eccessivamente: il petrolio greggio WTI, alla fine della settimana scorsa, rimane rialzista di oltre il 4%, con il Brent a 80 dollari al barile.
Per quanto riguarda il gas, sul mercato di Amsterdam, di riferimento per l’Europa, nell’ultima seduta della settimana il metano è cresciuto di quasi il 4% a 32 € al Megawattora, staccandosi dai minimi di novembre 2021 sui quali viaggiava finora.
Consideriamo la crescita significativa dell’export agroalimentare italiano verso i mercati asiatici, che negli ultimi dieci anni ha registrato un incremento del 128%, raggiungendo un valore di oltre 6 miliardi di euro,
circa il 10% dell’export agroalimentare italiano.
L’Italia si posiziona al quinto posto tra i principali paesi esportatori di prodotti agricoli e alimentari verso l’Asia, secondo un report di Ismea, dietro Paesi Bassi, Francia, Spagna e Germania.
Inflazione: l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia può alimentare l’inflazione a livello globale, aumentando i costi per consumatori e imprese e potenzialmente influenzando le politiche monetarie delle banche centrali. Al momento, l’inflazione in Italia è scesa a dicembre a +0,6% annuo da +0,7%. Ma è balzata in Germania, +3,8% da +2,3% ed in Francia, +4,1% da +3,9%.
La media dell’Eurozona è risalita al +2,9% dal 2,4 %. Il divario è dovuto ai diversi andamenti dei prezzi energetici, che ora calano molto di più in Italia, -24,7%, che in Europa, -6,7%. In Italia i prezzi core di beni e servizi sono tornati sotto il 3%, mentre nell’area euro sono al 3,4%.
Le tariffe di trasporto non sono ancora aumentate abbastanza da influenzare i prezzi al consumo, ma la situazione potrebbe cambiare, come ha detto ai parlamentari il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey.
Egli ha sottolineato il rischio che costi di spedizione più elevati facciano risalire l’inflazione.
La voce di Clerc ha un peso: Maersk è vista come un indicatore del commercio globale, trasportando circa un quinto del trasporto marittimo.
Tuttavia, Møller-Maersk giovedì 8 febbraio è andata a picco alla Borsa di Copenhagen, perdendo fino al
17%, dopo aver comunicato risultati e outlook molto peggiori del previsto: tanto brutti da convincerla ad
nterrompere con effetto immediato il programma di riacquisto di azioni proprie in corso dal 2022 (oltre
che a tagliare la cedola dell’88% rispetto all’esercizio precedente).
È una serie di notizie negative che ha colto di sorpresa il mercato e che delineano uno scenario molto pessimista non solo per il gruppo danese, ma in generale per il settore dello shipping.
I banchieri centrali, come il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey, sono relativamente ottimisti, osservando che i prezzi del petrolio non hanno avuto l’effetto negativo temuto.
Anche se le tariffe di trasporto sono al di sotto dei massimi raggiunti durante la pandemia, Julian Hinz e
Simon MacAdam sottolineano che l’impatto sui prezzi al consumo dovrebbe essere limitato, dato che i
costi di trasporto rappresentano una piccola percentuale del valore dei beni e che la maggior parte delle
merci viene trasportata a tariffe contrattuali a lungo termine.
Tuttavia, gli analisti avvertono che una interruzione prolungata sarebbe più problematica.
ISPI, basandosi sul recente aumento dei costi di trasporto e tenendo conto di diversi “correlati”, cruciali
nella capacità di assorbire gli shock sui prezzi (come la diversa efficacia delle politiche monetarie), stima
che, perdurando lo stato di crisi, nel complesso, l’inflazione complessiva in Europa aumenterebbe
dell’1,8% entro 12 mesi e durerebbe quanto la crisi stessa.
L’impatto sul resto del mondo sarebbe più moderato: +0,8% l’inflazione complessiva e +0,3%
l’inflazione core.
Il rischio più serio rimane un potenziale conflitto più ampio in Medio Oriente che potrebbe destabilizzare i mercati del petrolio e del gas.
Tuttavia, c’è stata una recente impennata dei prezzi del petrolio, con il Brent che ha guadagnato l’1,3% a 88,77 dollari al barile.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto ai giornalisti di essere “molto preoccupato” per l’impatto delle ostilità sui prezzi del petrolio, aggiungendo “ecco perché dobbiamo fermarlo”.
Settori come quello elettronico e automobilistico. Alcune case automobilistiche che fanno affidamento su
componenti in arrivo via mare hanno risentito dell’impatto, con Tesla in Germania, Volvo Cars in Belgio e
Suzuki in Ungheria che hanno interrotto alcune linee di produzione di veicoli.
L’industria automobilistica è particolarmente vulnerabile a causa dei suoi processi produttivi “just in time”, senza grandi scorte. Tuttavia, un leggero aumento dei livelli delle scorte a seguito della crisi avvenuta negli ultimi anni ha reso i problemi meno gravi di quanto sarebbero stati altrimenti.
Nel settore alimentare, la francese Danone ha affermato che inizierà ad attuare “piani di mitigazione”, compreso l’uso di alternative come il trasporto aereo, se l’interruzione del Mar Rosso dovesse durare più di due o tre mesi.
Nel settore della vendita al dettaglio, il Gruppo Pepco, che possiede la catena di sconti Poundland e
gestisce quasi 3.500 negozi discount di abbigliamento in tutta Europa, ha avvertito che la situazione sta
portando a costi di trasporto più elevati e consegne più lente ed ha avvertito che “un problema
prolungato nella regione potrebbe anche avere un impatto sull’offerta nei prossimi mesi”.
I prodotti generici, come l’abbigliamento, vengono generalmente ordinati con mesi di anticipo,
lasciando i rivenditori meno esposti rispetto alle aziende che si affidano alla consegna just-in-time.
Fino ad allora, i clienti che effettuano spedizioni dovranno sopportare l’imprevedibilità della catena di approvvigionamento.
Tuttavia, escludendo una forte escalation del conflitto, le catene di approvvigionamento, almeno per il momento, sembrano avere abbastanza flessibilità per assorbire la tensione aggiuntiva.
L’interruzione degli scambi commerciali è la più grave dai tempi della pandemia di Covid-19 e ha aumentato i costi di spostamento delle merci via mare ai livelli più alti registrati al di fuori di quel periodo.
Impatto sui mercati finanziari: la percezione del rischio legata alla crisi può influenzare i mercati finanziari, causando volatilità negli indici azionari, nei prezzi delle obbligazioni e nei valori delle valute, specialmente per le economie più dipendenti dalle importazioni di energia.
Viceversa, per il secondo mese si è attenuata la caduta dei prestiti, -4,8% annuo da un minimo di -6,7, ma il credito resta un fattore di freno per investimenti e consumi.
È poi da prestare grandissima attenzione ai nuovi contratti, per prevedere rimedi appositi per la gestione
di emergenze e problematiche, ma anche per gestire costi che magari si trascuravano in precedenza,
come quelli di trasferta e di consegna, soprattutto quando l’oggetto sono impianti complessi o anche
merci che richiedano più approvvigionamenti dall’estero.
Questo fenomeno sta diventando particolarmente comune nei paesi dell’Est Europa, in particolare in
Romania, dove l’Italia è il principale investitore con 23.000 imprese a partecipazione italiana,
rappresentando il 21% del totale secondo l’Osservatorio Economico del Ministero degli Affari Esteri e
della Cooperazione Internazionale.
Il reshoring nell’Est Europa è in fase di crescita, come evidenziato dalle numerose richieste di consulenza ricevute dalle imprese per gestire la transizione del modello produttivo.
Tuttavia, il processo richiede competenze specifiche, soprattutto in ambito legale e fiscale, ed è essenziale per le aziende creare una struttura dedicata con l’esperienza e la preparazione adeguata a gestire tale processo.
L’Italia dipende dal libero accesso alle rotte oceaniche, ma le chiavi del Mediterraneo sono in mani
altrui.
La Russia sta espandendo la propria influenza nel Mediterraneo e in Africa, rioccupando ex basi sovietiche
e approfittando della debolezza europea e dell’interesse limitato degli USA per il continente africano.
Utilizza un mix di soft power che include terzomondismo e tradizionalismo antioccidentale e si sta
spingendo verso le coste meridionali e orientali che guardano all’Italia, non solo con la presenza di
mercenari del Gruppo Wagner.
La Turchia, guidata da Erdoğan, sta cercando di riaffermare la propria presenza nel Mediterraneo e in altre aree affacciate su mari vicini all’Italia, comprese le rotte migratorie chiave verso l’Europa.
Tutto questo apre il tema di quanto importanti siano le Zone economiche esclusive (ZEE) che estendono la sovranità degli Stati litoranei dal territorio al mare e sono protette dalle Marine militari.
Va criticata la mancanza di azione dell’Italia nel definire la propria ZEE, nonostante una legge del 14 giugno 2021 l’autorizzi.
La passività dell’Italia in questo contesto è un rischio, dato che il Mediterraneo è scenario di tensioni crescenti, come dimostrato dal conflitto in Ucraina e dall’escalation tra Israele e Hamas.
Una delle conferme di questo approccio è l’eliminazione del piano generale dei trasporti e della logistica
(PGTL), che, sebbene avesse una certa importanza come riferimento per le politiche connesse ai trasporti
(come la produzione industriale, l’energia, la pianificazione del territorio e la politica ambientale), era
considerato scarsamente efficace.
Il testo pone domande su come verrà gestita la pianificazione dei trasporti senza il PGTL, dato il suo ruolo
c ome riferimento utile per le pianificazioni regionali e provinciali e interroga sul futuro della filiera della
pianificazione dei trasporti, che si estende fino ai piani delle città metropolitane e urbane e su come
questi potranno operare senza riferimenti di scala maggiore.
Tuttavia, a differenza di tale elenco, che comprendeva opere strategiche derivanti da una visione unitaria
del Paese, lo schema direttore non sembra avere una natura giuridica definita e non è chiaro come
verranno stabilite le priorità di intervento senza un quadro di pianificazione e programmazione definito.
Ad esempio, se lo schema direttore intendesse sostituire i piani o programmi mantenendone la funzione, dovrebbe essere sottoposto a valutazione ambientale (VAS).
Prof. Paolo Poletti. Università Link Roma