Tanti vip alla prima dello spettacolo di Giuseppe Manfridi. Visto per noi da Micaela Taroni

Non sono solo favolette ma pillole di saggezza, verità racchiuse in sagaci battute di spirito, giochi di parole ore buffe,
ora disarmanti quelle che Giuseppe Manfridi mette in scena fino a domenica al Teatrosophia in via della Vetrina a Roma nel suo spettacolo “Le favolette di Wittgenstein”.
Il piacere del paradosso, della narrazione breve e folgorante, delle riflessioni a volte umoristiche a volte spiazzanti è racchiuso nelle 14 favolette che Manfridi,
uno dei massimi drammaturghi italiani, autore di commedie rappresentate in tutto il mondo, propone al pubblico in uno spettacolo che fa rilucere il suo istrionico talento e l’eccezionale capacità di spaziare tra teatro e filosofia, tra leggerezza e profondità.

Lo spettacolo si basa sul testo di Manfridi “Le favolette di Wittgenstein” in cui l’autore immagina – esaudendo un desiderio irrealizzato del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951) – di proseguire il suo “Tractatus logico-philosophicus” con una raccolta di piccoli componimenti umoristici,
brevi e vivaci creazioni con al centro verità ora imprevedibili, ora assurde, bizzarre, ora incomprensibili e illogiche che portano a sorridere e riflettere.
Rinchiuso nella torre del suo positivismo e razionalismo il filosofo Wittgenstein è affascinato dall’incomprensibile, si interroga sui paradossi della vita e dell’animo umano, spiazzando lo spettatore con battute concise e anticonformiste.

Manfridi incarna con la sua verve e la sua impressionante capacità affabulatrice le fragilità, ma anche la giocosità e l’umorismo di Wittgenstein,
libero in questa piece di fare quello che ha sempre sognato: elaborare un sistema filosofico fatto soltanto di battute spiritose e giochi di parole.
Lo spazio del Teatrosophia accogliente e avvolgente fa da sfondo ideale a questo spettacolo originale con regia di Claudio Boccaccini e installazioni sceniche di Antonella Rebecchini,
che giovedi ha festeggiato il suo debutto davanti a nomi di prestigio del teatro e del cinema tra cui Pino Quartullo e Daniela Poggi.

Di questo lavoro rimane impressa la prova d’attore di Manfridi, che riesce a trasformare concetti filosofici
complessi in narrazioni argute che stimolano una riflessione più ampia sulla natura della comunicazione,
del linguaggio e della realtà.
Ogni racconto all’interno di “Favolette” diventa una metafora delle difficoltà nell’esprimere i nostri
pensieri in modo preciso, un tema centrale nella filosofia di Wittgenstein.
La bellezza di “Favolette” risiede proprio nella sua capacità di fondere la leggerezza della fiaba con la
densità della riflessione filosofica.
I racconti sono divertenti ma mai banali, pieni di simbolismo e di spunti che invitano il lettore a
interrogarsi sul significato delle sue esperienze quotidiane, sul modo in cui costruiamo la nostra
comprensione del mondo attraverso il linguaggio.
Micaela Taroni
