Scene da non credere in consiglio comunale, dove il dibattito politico si è trasformato in una lezione di zoologia applicata.
Tutto nasce — pare — da un malinteso comunicativo dell’ufficio del presidente del consiglio Roberto Severini.
Un piccolo errore che però ha fatto scattare nel consigliere d’opposizione Ezio Di Genesio Pagliuca la scintilla dell’ispirazione: quella che porta a ripetere, più volte e con convinzione, la parola “capra” riferita al presidente.
Un’esclamazione che riecheggia nell’aula come in un documentario del National Geographic: “Capra! Capra! Capra!”.
Non si sa se per sottolineare il concetto, per dare ritmo alla scena o per pagare tributo al maestro Vittorio Sgarbi, ormai patrono laico di tutti gli insulti eruditi.
D’altronde, viviamo in tempi difficili: se un professore osa oggi dire a un alunno “sei una capra”, rischia un richiamo, una denuncia, e forse anche un seminario obbligatorio sul linguaggio inclusivo.
Ma in politica — si sa — tutto è diverso. Là dove un insegnante deve misurare ogni parola, un consigliere può invece sentirsi “radical chic” citando il bestiario sgarbiano.
Del resto, chiamare “capra” qualcuno non è più un insulto. È un posizionamento culturale. Un modo per dire: “Io sono diretto, passionale, ma anche un po’ intellettuale”.
Una specie di Sgarbi de noantri, versione democratica e a chilometro zero.
Certo, dare della “capra” al presidente del consiglio comunale non rientra esattamente nel galateo istituzionale.
Ma, come direbbe il grande filosofo del bar di Fregene: “Eh, oh, uno può sbagliare… l’importante è chiedere scusa”.
E chissà, forse un giorno il Comune di Fiumicino dedicherà un’aula a questo episodio memorabile: Sala delle Capre, in onore della trasparenza, della comunicazione… e dell’ironia, che in politica serve sempre.
Corrado Orfini