Il consigliere comunale analizza la riforma della legge 84/1994, evidenziando opportunità e rischi e la necessità di una sinergia stabile tra porto e territorio.

Civitavecchia, record di sbarchi per le crociere vicino

In questo contributo, Paolo Poletti, consigliere comunale di Civitavecchia e docente nel Master universitario di II livello Complex Transport: Logistics, Safety and Security Risk Management dell’Università della Tuscia, analizza la bozza di riforma della legge 84/1994 sul riordino della legislazione portuale.

Un approfondimento che, partendo dalle novità introdotte con l’istituzione di Porti d’Italia S.p.A., riflette sulle implicazioni per lo scalo di Civitavecchia, sui rischi di centralizzazione e sulla necessità di una sinergia stabile tra porto e territorio come chiave di sviluppo sostenibile.

Nasce Porti d’Italia S.p.A., cambia la governance dei porti: opportunità e rischi per lo scalo civitavecchiese

Una riforma che cambia la rotta.

Dopo trent’anni, il Governo mette mano alla legge 28 gennaio 1994 n. 84, il testo che aveva definito l’assetto moderno dei porti italiani.

La bozza di riforma, composta da 29 articoli, segna una svolta centralista: viene istituita la “Porti d’Italia S.p.A.”, società pubblica con capitale iniziale di 500 milioni di euro, sotto la vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT).

Porti d’Italia S.p.A. avrà il compito di pianificare e realizzare le opere infrastrutturali di interesse nazionale, subentrando alle Autorità di Sistema Portuale (AdSP) per le grandi opere strategiche e per la gestione del nuovo Fondo per le infrastrutture marittime.

Un cambiamento che, nelle intenzioni, punta ad accelerare gli investimenti e ridurre i tempi di realizzazione, ma che di fatto riporta le leve principali a livello statale.

Il nuovo testo prevede che, per le concessioni di durata superiore ai vent’anni, le Autorità portuali debbano ottenere un parere vincolante del MIT.

Un passaggio pensato per garantire uniformità e trasparenza, ma che limita la discrezionalità delle singole AdSP e rischia di rallentare l’avvio delle gare.

Sul piano economico, la riforma istituisce due nuovi strumenti:

  • il Fondo per le infrastrutture strategiche di trasporto marittimo, dove confluirà una quota dei canoni concessori e delle tasse portuali;
  • il Fondo di funzionamento, destinato a finanziare le spese operative di Porti d’Italia S.p.A.

In pratica, una parte delle entrate locali tornerà sotto il controllo del bilancio statale, riducendo l’autonomia finanziaria delle AdSP.

La bozza introduce una novità di forte impatto politico e amministrativo.

All’articolo 6, commi 14 e 14-bis, si stabilisce che:

  • un’Autorità di sistema portuale può essere soppressa o accorpata ad altra se non raggiunge i volumi minimi di traffico fissati dal Governo;
  • oppure se presenta per due esercizi su tre un bilancio negativo, certificato dal Collegio dei revisori.

In entrambi i casi, la decisione spetterà al MIT, di concerto con il MEF e previo parere della Conferenza Unificata.

È questa l’organo che riunisce Stato, Regioni e autonomie locali per coordinare le decisioni che incidono sulle competenze territoriali. Il suo parere – previsto dal d.lgs. 281/1997 – non è vincolante, ma costituisce un passaggio essenziale di raccordo istituzionale.

La previsione dei commi 14 e 14-bis dell’articolo 6, in conclusione, introduce criteri di efficienza economica e dimensionale nel mantenimento delle Autorità portuali, ma apre scenari delicati per gli scali di media grandezza.

Per il porto di Civitavecchia, che guida l’Autorità di Sistema del Mar Tirreno Centro-Settentrionale insieme a Fiumicino e Gaeta, la riforma presenta luci e ombre.

Le opportunità:

  • l’intervento di Porti d’Italia S.p.A. potrebbe accelerare progetti infrastrutturali attesi da anni, come il cold ironing, il completamento dei collegamenti ferroviari e stradali di ultimo miglio, e gli interventi di dragaggio dei fondali;
  • la valorizzazione delle politiche ambientali e di sostenibilità energetica (art. 4-bis) può premiare porti già impegnati nella transizione green, aprendo nuove possibilità di finanziamento europeo;
  • l’inserimento del porto nella rete TEN-T e nella Rete italiana della portualità rafforza il ruolo di Civitavecchia come hub logistico e crocieristico del Centro Italia, in sinergia con Roma e l’interporto di Orte.

I rischi:

  • la crescente centralizzazione delle decisioni potrebbe allontanare dal territorio la capacità di incidere su piani, priorità e concessioni;
  • le nuove soglie di traffico minimo e bilancio introdotte dalla bozza potrebbero, in teoria, mettere in discussione l’autonomia della nostra AdSP, con il rischio di un accorpamento con altre realtà più forti, come Livorno o Napoli;
  • la riduzione delle risorse dirette e dei poteri di spesa rischia di indebolire la capacità operativa locale, proprio mentre Civitavecchia affronta la sfida della riconversione energetica e industriale.

In questa cornice, la sfida per Civitavecchia è costruire una posizione unitaria, superando definitivamente il dualismo tra Comune e Autorità di Sistema Portuale, che negli anni passati ha indebolito la capacità di attrazione e di programmazione dello scalo.

Oggi serve un’azione corale tra istituzioni, operatori economici e comunità portuale, capace di sostenere l’AdSP come soggetto guida di una strategia condivisa di sviluppo.

La crescita del porto e quella del territorio sono due facce della stessa medaglia. Il porto genera occupazione, investimenti e internazionalizzazione; il territorio, a sua volta, fornisce infrastrutture, competenze e un contesto produttivo senza cui il porto non può crescere.

È una relazione biunivoca, in cui il successo di uno dipende dall’altro.

Civitavecchia deve quindi valorizzare le sue vocazioni naturali: il crocerismo e i servizi passeggeri, l’intermodalità ferroviaria e stradale lungo gli assi che collegano il Tirreno all’Adriatico e ai corridoi europei,

la cantieristica navale e la manutenzione tecnica, e la creazione di poli logistici per biocarburanti ed energie rinnovabili.

Solo una sinergia strutturata tra porto e città potrà sostenere questa visione, facendo di Civitavecchia un nodo di connessione tra Mediterraneo ed Europa continentale, capace di attrarre investimenti, innovazione e occupazione di qualità.

Solo una visione condivisa e orientata a queste priorità potrà evitare che le scelte di Roma diventino vincoli per Civitavecchia e trasformarle invece in occasioni di crescita e sviluppo sostenibile.

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