Dobbiamo renderci conto che, una volta soddisfatti i bisogni primari, lo sviluppo umano consiste innanzitutto nell’essere di più, non nell’avere di più” (dal Preambolo della Carta della Terra, 2000)

Trovo interessante questa affermazione perché offre spazio ad una riflessione profonda: richiama ad una trasformazione interiore, un momento in cui ciascuno, a suo modo, diviene consapevole di qualcosa.

Divenire consapevole è un percorso individuale, grazie alla conoscenza e/o ad un momento destabilizzante, attraverso i quali si rivede la visione su cui è fondata la propria esistenza, e si decide di cambiare.

È ciò che Mezirow (sociologo – 1923/2014) definisce “apprendimento trasformativo”.

Dunque, ciascuno di noi arriva ad un punto in cui “diviene consapevole” (certo, rimangono coloro che preferiscono non vedere, non sentire, ecc…) del fatto che “una volta soddisfatti i bisogni primari” (Maslow, psicologo – 1908/1970) – cioè nutrirsi, dormire, essere in salute, avere un lavoro, una casa, appartenere ad un gruppo sociale, godere di autostima e di rispetto reciproco, sentirsi realizzati – il nostro sviluppo umano, in quanto umanità, consiste non nel continuare ad avere, ma migliorare l’essere persona.

Tuttavia quanti di noi, intendo la popolazione globale, hanno raggiunto questi bisogni primari? Quanti di noi hanno una casa, un lavoro, si sentono realizzati?

Riecheggiano le parole di Indira Gandhi alla Conferenza di Stoccolma (1972): “…i ricchi guardano di traverso la nostra persistente povertà…noi non intendiamo impoverire ulteriormente l’ambiente, ma non possiamo dimenticare neanche per un momento l’atroce povertà di molte persone.

Non sono la povertà e la miseria i più grandi inquinatori. L’ambiente non può essere migliorato in condizioni di povertà….”. Altra interessante riflessione!

Per non divagare dal main topic: una volta soddisfatta la condizione di base, come possiamo continuare a svilupparci?

Non nel desiderio ossessivo di avere, di possedere ancora, e ancora e ancora. Il possesso esasperato, lo vediamo sotto i nostri occhi, conduce alla desertificazione, a distruggere e bruciare qualunque cosa.

Possiamo svilupparci nell’essere “di più” (alcune traduzioni propongono “essere migliori”), dunque puntare ai valori che l’essere umano può esprimere: essere sé ed essere con.

I nostri nonni non conoscevano la parola “scarto”, nemmeno “rifiuto”: ciò che avanzava dalla tavola, ci s’ingegnava per riutilizzarlo; la stoffa dei vestiti dismessi prendeva nuova forma e un nuovo utilizzo; il materiale di oggetti usati, grazie alla creatività e all’ingegno, trovava una diversa collocazione.

Al contrario compriamo e scartiamo, ricompriamo e gettiamo, creando montagne di rifiuti! “La cultura dello scarto” di cui parla Francesco, retaggio dell’homo oeconomicus, che applichiamo anche agli esseri viventi: non mi servi, dunque ti scarto!

Cambiare prospettiva significa parlare di rispetto, di apprezzamento, di economia nel suo significato etimologico ovvero di come “gestire, amministrare la casa”. Una volta a scuola si insegnava economia domestica.

Oggi si pensa di introdurre l’educazione economico-finanziaria nelle scuole, percorso ancora tutto da scoprire. A mio avviso occorre saper “fare economia” e non solo del denaro, ma del nostro tempo, bene prezioso, delle nostre forze, ciò vuol dire risparmiare e valorizzare quel che si ha. Risparmiare è ancora una parola in uso, oggi?

Se solo tutti noi ci divertissimo a realizzare in casa la nostra creativa e personale economia circolare!

Carla Celani

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