L’esperienza dello scrittore su TalkCity Webradio con “Ogni giorno è una storia”
Ci sono inizi che non si scelgono: accadono. Dino Tropea lo racconta così, con la naturalezza di chi ha capito che alcune strade si aprono solo quando smetti di cercarle.
«Un giorno, senza averlo pianificato — perché le cose più vere arrivano senza avvertire — mi sono ritrovato davanti a un microfono», confida. Non si sentiva pronto. O almeno credeva. «Forse lo ero da sempre, solo che non avevo ancora imparato ad ascoltare la mia voce».
Da quel giorno, la voce è diventata compagna e strumento.

Oggi Tropea cura un programma settimanale su TalkCity Web Radio, che ringrazia con una gratitudine nitida e mai di circostanza.
Un programma che conduce spesso via telefono, da qualsiasi luogo, trasformando gli spazi del quotidiano in una redazione itinerante.
«Ogni puntata mi allena, mi affina, mi prepara — sì — anche al patentino da giornalista».
Il titolo non poteva essere altro che “Ogni giorno è una storia”: un manifesto più che un nome.
Il giornalismo radiofonico: “È il più pulito di tutti”.

Alla domanda se la radio rappresenti davvero la forma più pura di giornalismo, Tropea risponde senza esitazioni: «Per me sì».
E lo spiega con un’immagine di schiettezza rara:
«La radio non ti concede trucchi né ritocchi. Non hai una rete di protezione, non hai scalette di domande preparate giorni prima, non hai quella versione addomesticata del dialogo che in altri contesti fa comodo.
In diretta non puoi correggere il tiro: la frase ti esce dalla bocca e vola, nuda, irripetibile, irreversibile».
E proprio in quella nudità — dice — si nasconde la sua forza.

«La radio è immediata, viscerale, istintiva. È l’unico mezzo che può parlare a quaranta milioni di persone e sembrare come se si rivolgesse soltanto a te.
È camaleontica: entra nelle case, nelle auto, perfino nei silenzi che nessuno vede».
Per Tropea la radio non mente, non copre, non trucca. «Ti smaschera e ti salva nello stesso istante. È onesta fino all’osso. Cruda, a volte. Ma incredibilmente vera».

Cosa significa davvero “curare” un programma radiofonico
Per Tropea prendersi cura di un programma non è un compito tecnico, ma un atto di presenza: «Significa esserci. Sempre. Non per obbligo, ma per responsabilità».
Ogni storia che porta in diretta è un incontro, un passo, un varco.
«Prendere una storia tra le mani è come maneggiare qualcosa di fragile: lo fai con attenzione e rispetto.
Vuol dire dare voce a chi non ce l’ha, a chi urla in silenzio da anni, a chi non ha mai trovato un microfono disposto ad ascoltare davvero».

Ma c’è anche il rovescio della medaglia: amplificare chi ha molto da dire ma pochi mezzi per farlo arrivare lontano.
«La radio apre corridoi dove prima c’erano muri. Connette persone che non si sarebbero mai incrociate. Trasforma un messaggio in un movimento».
E a cambiare, ogni volta, è anche chi racconta: «Ogni storia mi scava e un po’ mi rimette al mondo».

Tropea non parla di TalkCity come di una semplice radio. La definisce un “luogo sociale”, un microcosmo di voci che altrove non troverebbero posto.
«È una casa aperta ai fragili, ai creativi, ai combattenti silenziosi e non. Non avevo pensato di bussare a quella porta. Loro l’hanno aperta lo stesso».
Tutto è nato quasi per caso: un’icona vista online, una proposta di intervista legata al percorso di Sanremo Writers 2025.

«Pensavo potesse interessare, niente di più. Invece Corrado Orfini mi ha ascoltato e mi ha offerto un programma. Da lì è iniziato tutto».
Oggi “Ogni giorno è una storia” vive e respira ogni settimana, portando in radio volti, voci e racconti che spesso non trovano spazio altrove.
Ma una radio, ricorda Tropea, «esiste davvero solo se qualcuno, dall’altra parte, decide di restare un attimo in più».
Ed è in quell’attimo — dice — che nasce la magia: “E’ lì che si accende una scintilla che non ti aspetti”.
TalkCity.it Redazione

