Intervista a “Long John”, come avrebbe risposto se fosse stato ospite nella nostra redazione

Benvenuto nella nostra redazione, Giorgio Chinaglia! È un vero onore averti qui con noi.

Il tuo nome è indissolubilmente legato alla storia della Lazio, soprattutto per quel trionfale scudetto del 1974. Come hai vissuto quei momenti da protagonista?

Giorgio Chinaglia: <<Grazie a voi per l’invito! Quel periodo è stato straordinario. Viverlo da protagonista, in una squadra come la Lazio, è stato un sogno che si avverava.

Gli allenamenti, le partite, la connessione con i compagni di squadra… tutto contribuiva a creare un’atmosfera magica.

Inoltre, eravamo un gruppo unito, con un grande spirito di squadra, e questo si è visto in campo.>>

Parlando di quella squadra, ti sei reso conto all’epoca di quanto fossi un provocatore fuori dalle regole? Le tue dichiarazioni e il tuo atteggiamento spesso andavano oltre il confine.

Giorgio Chinaglia: (ride) <<Sì, devo ammettere che avevo un certo talento nel provocare.

Ma non lo facevo per creare polemiche, ci tenevo a rendere ogni partita entusiasmante.

Il calcio per me è passione, e il mio modo di esprimere questa passione era, a volte, un po’ sopra le righe. Sapevo che ciò poteva infastidire qualcuno, ma era il mio modo di vivere il gioco.>>

Intenso, sì, ma pensi che quel tuo comportamento possa aver avuto conseguenze negative sul calcio, incoraggiando un certo tipo di violenza o arroganza?

Giorgio Chinaglia: <<È una visione un po’ semplicistica. Il calcio è uno sport pieno di tensione e pressione. Forse la mia personalità ha contribuito a rendere il gioco più vibrante.

Non si può negare che ci sia stata anche violenza, ma dipende da quello che fai in campo. Io ho sempre cercato di dare il massimo per la mia squadra.

Non ho mai avuto rimpianti. Se per qualcuno sono un “cattivo ragazzo”, bene, significa che ho lasciato un segno.

In ogni caso, il calcio è uno spettacolo e io mi sono sempre sentito parte di uno show. Non pretendo che tutti mi amino, ma non mi sono mai pentito della mia autenticità>>

È vero, la tua personalità si faceva sentire sia in campo che fuori. Tuttavia, oggi molti dei tuoi compagni di squadra del ’74 non ci sono più.

Come ti fa sentire sapere che giocatori come Luciano Re Cecconi, Felice Pulici, Pino Wilson, Vincenzo D’Amico e il tecnico Tommaso Maestrelli sono con te nell’aldilà?

Giorgio Chinaglia: <<È una grande tristezza. Quella squadra era come una famiglia per me e, purtroppo, la vita è così. Ogni volta che penso a questi ragazzi, mi riempie il cuore di nostalgia.

Ho dei ricordi meravigliosi insieme a loro, e il nostro scudetto rimarrà per sempre parte della vita del popolo biancoazzurro. Spero solo che, in qualche modo, si sentano orgogliosi di ciò che abbiamo fatto insieme.>>

Parlando di quello scudetto nel 1974. Alcuni dei tuoi ex compagni ti hanno accusato di essere troppo egocentrico, mettendo a rischio la coesione del gruppo. Come rispondi a queste critiche?

Giorgio Chinaglia: <<È facile parlare da fuori. Ogni grande squadra ha bisogno di personalità forti. Se fossi stato un semplice gregario, non avremmo mai raggiunto quel livello.

La mia ambizione era contagiosa. Non nego che ci possano essere state tensioni, ma facevano parte del nostro processo di crescita. Senza di me, forse non saremmo stati così vincenti.>>

Infine, nostalgicamente parlando, senti di avere lasciato più che un’eredità positiva nel calcio? O credi che la tua figura sia stata vista sotto una luce troppo negativa?

Giorgio Chinaglia: <<L’eredità è complessa. Non sarò mai il “buon ragazzo” della storia del calcio, ma non mi aspetto di esserlo.

Ho dato tutto per la Lazio, ho fatto sognare i tifosi e ho combattuto ogni minuto in campo. La storia ci giudica, e a me piace pensare che accanto alle polemiche ci siano anche i ricordi delle tante emozioni vissute. In fondo, il calcio è sempre stato una battaglia, e io sono stato un guerriero.>>

TalkCity.it Redazione

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