Intervista con Yuleisy: nata a Cuba, vive e lavora vicino Bologna nella sanità pubblica da molti anni. Oltre alle lauree, numerosi riconoscimenti per i libri pubblicati, il suo ultimo successo il libro “Di un’altra voce sarà la paura”

Yuleisy Cruz Lezcano durante l’intervista ha trasmesso una profonda sensibilità che cela la grande forza e passione di dare voce attraverso la sua poesia, alla drammatica vicenda della violenza di genere che purtroppo le cronache ci riportano frequentemente.
Ha scelto la via della poesia per dare voce alle ferite dell’anima e del corpo delle donne.
Le poesie come le rose, sono petali da raccogliere, contemplare e capire. Yuleisy vuole che questi petali diventino strumento di riflessione e d’immedesimazione per ogni persona: piccola, grande, uomo o donna che sia.

- “Di un’altra voce sarà la paura” è il suo ultimo volume dedicato al tragico racconto del femminicidio, ma qual è l’altra voce della paura?
“L’altra voce” è la voce poetica, la mia voce, che non è per parlare di paura ma per fare sentire in qualche
modo la donna meno sola, per aiutarla a far sparire le colpe, a esprimere rabbia, riconoscersi nel proprio
corpo.
Ho deciso di prestare la mia penna per parlare della violenza e sensibilizzare riguardo l’argomento,
usando la poesia come strumento per esprimere rifiuto verso qualunque forma di abuso, violenza e
intimidazione maschilista.
Con le mie parole in modo quasi visivo descrivo e spiego la violenza di genere, spesso in modo poco
addolcito, non per inesperienza poetica, ma volutamente per far entrare il lettore nella violenza, per
causare repulsione riguardo al fenomeno, perché egli entri nei dolori delle donne, nelle sue ferite.

Vorrei che sia chiaro che non cerco consensi. Spesso si parla di violenza e si cerca di offrire ai lettori concetti limitati nel loro significato da una convenzione consensuale.
Penso però che spesso la società mostri incapacità di evidenziare i sentimenti che le donne provano, di
identificare la voce delle vittime con la sua voce, senza ridurre le emozioni, giustificare o addolcire la
violenza, normalizzandola.
Credo sia facile liquidare il problema dicendo che è un male sociale che è “sempre esistito”, difficile da sradicare.

- Nella sua recente presentazione avvenuta presso l’ambasciata di Cuba in Roma lei ha detto che il suo linguaggio poetico vuole essere anche uno strumento sociale per il prossimo. Cosa intende esattamente?
La poesia mi appare gravida di speranza perché tesa attraverso la sua fame per riempire di pienezza il
senso delle parole; è uno strumento potente, perché può andare oltre e riuscire a dire quello che si vuole,
creando immagini, cosa che in genere non fa il linguaggio comune.
È difficile da definire, ma può trasmettere il dolore che la medicina non è in grado di diagnosticare;
potrebbe, insomma, essere il flash che illumina l’esigenza di una uguaglianza nell’amore, entrare con
immagini nelle ferite, dentro il corpo delle emozioni.
È noto a tutti come l’azione poetica da sola o insieme alla musica nella canzone, non solo ha saputo
trasformare la parola in un rituale condiviso, ma ho notato dopo le varie presentazioni che ho avuto per
presentare questo libro, che la parola è riuscita a modificare formalmente la realtà in ogni momento.

Per esempio quando ho presentato il libro Di un’altra voce sarà la paura nel Centro Sociale A Montanari APS di Bologna, è emersa da parte del pubblico presente, costituito da persone con più di 45 anni per la maggior parte, la richiesta di inserire nel loro calendario di attività un corso di auto-difesa per le donne, per prevenire la violenza.
Ed è così che con la parola si agisce modificando la consapevolezza, aumentando le conoscenze e dando spazio a nuove idee che la parola poetica suscita.
Attraverso l’uso speculativo del linguaggio, si può agire e modificare l’idea di verità del lettore. La poesia poi crea mimesi e mito. Può essere un motore per approfondire i capisaldi del bagaglio culturale.

- In questo tunnel di continue violenze che le notizie di cronaca ci documentano troppo spesso, lei vede o pensa che ci possa essere una strada per mettere fine a ciò?
La strada esiste ed è la cultura, l’educazione all’affettività, al rispetto, al riconoscimento del valore dell’altro, anche in età precoce.
Esiste per quanto mi riguarda una dimensione etica della memoria, che deve produrre conoscenza, trasmettere le emozioni durante il racconto dell’esperienza di violenza, avendo però rispetto, con attenzione ai giudizi critici, che devono essere vincolati alla responsabilità verso l’altro, in questo caso verso la vittima.
Devo dire però, che a volte nei mass media non si tiene conto del potere della parola, e della responsabilità etica che dovrebbero rispettare i mezzi di divulgazione di massa. Credo che oltre all’educazione anche il linguaggio e le modalità delle informazioni dovrebbero in moltissimi casi cambiare in meglio.

- In questa suo percorso poetica sulla violenza di genere, che progetti ha per il futuro?
Non saprei, stavo scrivendo un saggio sulla poesia di scrittori in esilio ma poi durante una presentazione mi è venuta l’idea di scrivere un libro per l’infanzia per contrastare la violenza e creare stimoli in modo semplice all’affettività e all’empatia. I progetti futuri sono comunque in divenire. Per l’immediato futuro invece voglio continuare a impegnarmi sul fronte violenza contro le donne e le prossime presentazioni sono:
Sabato prossimo 14 di settembre sarò Ospite di Radio Canale Italia, nello spazio story time, che ha diverse sedi nazionali e un alto numero di ascoltatori per una nuova esperienza dietro i microfoni.
Il 28 settembre alle ore 18, 45 sarò nella libreria Alice di Firenze per presentare il libro. Grazie di tutto!
Intervista a cura di Ombretta del Monte
Riceviamo e pubblichiamo
